I radicali liberi e altre specie reattive vengono costantemente generati in vivo nel nostro organismo e causano danni ossidativi alle molecole di DNA contenute nelle nostre cellule ad un tasso che probabilmente è importante nel contribuire allo sviluppo del cancro legato all’età.
Tale processo è tenuto sotto controllo solo dall’esistenza di più sistemi antiossidanti e di riparazione, nonché dalla sostituzione di lipidi e proteine danneggiate. Il DNA è probabilmente il bersaglio biologicamente più significativo dell’attacco ossidativo, e vi è ampio consenso sul fatto che il danno ossidativo continuo al DNA contribuisca significativamente allo sviluppo dei tumori.
Ciò non significa che una piccola quantità di radicali liberi non sia in realtà necessaria: essi hanno infatti il pregio di uccidere gli agenti patogeni e di “pulire” l’organismo. Tuttavia, un livello di radicali liberi eccessivo rispetto a quello degli antiossidanti produce un danno, o stress, ossidativo. Infatti, questi radicali liberi reagiscono con altre molecole instabili creando composti ancora più aggressivi, in grado di provocare seri danni alla molecola del DNA, in cui è racchiusa l’informazione genetica.
Per combattere gli attacchi delle specie reattive all’ossigeno e dei radicali liberi in generale, le cellule hanno a disposizione diverse modalità di difesa. La più semplice è sotto forma di molecole a basso peso molecolare e con capacità antiossidanti – quali la vitamina A, C ed E, ed il glutatione – le quali intercettano i radicali liberi divenendo esse stesse radicali potenzialmente molto meno reattivi.
Se accettiamo che il danno diretto alle basi che formano il DNA da parte delle specie reattive dell’ossigeno – e dei radicali liberi in generale – contribuisca in modo significativo allo sviluppo del cancro, gli agenti che riducono la quantità di tali danni ossidativi del DNA dovrebbero ridurre il rischio di sviluppo del cancro. Del resto, le prove disponibili suggeriscono che nelle popolazioni occidentali l’assunzione di alcuni prodotti ortofrutticoli può ridurre il danno ossidativo del DNA.
Vale a dire che il danno, o stress, ossidativo del DNA (si stima che ogni giorno vi siano centinaia di attacchi al DNA di ogni nostra cellula) costituisce, in linea di principio, un “biomarcatore” per identificare le persone a rischio – per motivi dietetici o genetici, o per entrambi – di sviluppare il cancro e per suggerire come le diete di queste persone possano essere modificate per ridurre tale rischio.
In altre parole, il danno ossidativo del DNA nelle cellule umane è un “marcatore surrogato” (o biomarcatore) predittivo – in una certa misura – dello sviluppo del cancro più tardi nella vita. Del resto, è noto che l’infiammazione cronica, il fumo di sigarette e le diete ricche di grassi e povere di frutta e verdura sono associate ad una maggiore incidenza del cancro.
Infatti, l’infiammazione cronica eleva i livelli di molti prodotti creati dal danno ossidativo del DNA nelle cellule umane. Il fumo di sigarette, molti altri agenti cancerogeni e una dieta ad alto contenuto di grassi sembrano accelerare la formazione di 8-idrossi-2’-deossiguanosina (8-OH-dG) negli animali, un indicatore che costituisce il metodo più comune per valutare il danno del DNA.
I micronutrienti antiossidanti neutralizzano i radicali liberi e, a dosi adeguate, riducono l’infiammazione e dimostrano benefici nei modelli animali e nelle sperimentazioni sugli esseri umani. In particolare, il consumo di cavoletti di Bruxelles negli umani e nei ratti, e di pomodori o succhi di verdura nei volontari sani, ha mostrato che diminuisce il danno ossidativo del DNA.
Al contrario, l’integrazione di β-carotene nella dieta (come pure quella di vitamina E) non ha mostrato di diminuire il danno ossidativo del DNA nell’uomo, coerentemente con il fatto che non esercita un effetto antitumorale. Inoltre, i dati recenti suggeriscono che delle assunzioni aumentate di ascorbato, tocoferoli o quercetina non diminuiscono il danno ossidativo del DNA.
Perciò, l’uso dei danni ossidativi del DNA come biomarcatore può, in teoria, permettere di rispondere alle principali domande nutrizionali, ad esempio per individuare quali tipi di frutta e verdura – e quali loro componenti – sono più protettivi contro i danni ossidativi del DNA, e quindi quali di essi dovrebbero essere più efficaci nel ritardare lo sviluppo del cancro in una persona.
Il concetto di “biomarcatore” presuppone però che possiamo misurare con precisione il danno ossidativo nel DNA dei tessuti rilevanti. Tuttavia, poche informazioni sono disponibili su se il danno ossidativo sul DNA ossidativo nelle cellule del sangue – giacché i biomarcatori sono di solito ricercati nel sangue o nelle urine – rispecchi i danni nei tessuti a rischio di sviluppo del cancro.