In un interessante esperimento pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition, è stata analizzata la l’iperglicemia e l’iperinsulinemia post-prandiali, dopo l’assunzione di pasti (di diversa origine etnica) con diversi contenuti di carboidrati da parte di soggetti sani, per un confronto.
I pasti di prova erano delle seguenti origini etniche: indiana (lenticchie con riso), italiana (spaghetti alla bolognese), cinese (verdure fritte e pollo con riso), greca (stufato di lenticchie), occidentale (tagliatelle e verdure). Gli indici glicemici e insulinici post-prandiali sono risultati più alti per il pasto libanese e più bassi per quello greco, con differenze significative tra i vari pasti.
La risposta dell’insulina è stata parallela alla risposta della glicemia (r = 0,83, p inferiore a 0,05). Inoltre è risultato che l’ampiezza della risposta post-prandiale del livello di glicemia dipende principalmente dall’effetto combinato della quantità e dell’indice glicemico dei carboidrati contenuti in un alimento, ovvero dal cosiddetto carico glicemico dell’alimento stesso.
Anche un altro studio, pubblicato nel 2006 sul Nutrition Journal ed effettuato su soggetti obesi, ha mostrato che, quando si confrontano due pasti con un carico glicemico simile, ma con diverse quantità e tipo di carboidrati, si trovano risposte molto simili delle concentrazioni di glucosio e di insulina nel monitoraggio eseguito su campioni di sangue nelle 5 ore successive al pasto stesso.
In quest’ultimo studio, il profilo di glucosio postprandiale nel sangue ha mostrato un modello simile a tutti i pasti, con un picco prima di 1 ora dalla fine del pasto (consumato in 20 minuti) e ritornando ai valori prossimi a quelli a digiuno dopo circa 3 ore dalla fine del pasto. I campioni di sangue sono stati prelevati ogni 15 minuti nella prima ora e ogni mezz’ora nelle 4 ore successive.
Questi risultati suggeriscono che: (1) l’approccio del carico glicemico è utile per pianificare diete che possano prevenire la sindrome metabolica (prediabete); (2) nelle persone sane la misurazione della glicemia può in qualche modo supplire quella dell’insulinemia, essendo questi due parametri legati, in tali soggetti, fondamentalmente da un fattore di proporzionalità.
D’altra parte, il carico glicemico (CG) di un singolo alimento può essere calcolato moltiplicando l’indice glicemico (IG) dell’alimento (espresso sotto forma di percentuale) per il numero di “carboidrati netti” (uguali ai carboidrati totali meno la fibra alimentare) presenti nella porzione di alimento di cui vogliamo valutare il carico glicemico, ed espressi in grammi, il tutto diviso per 100.
Mentre, per calcolare il carico glicemico di un pasto composto da più alimenti o componenti (es. pasta, salsa di pomodoro, olio di oliva, zucchine), basta semplicemente calcolare – magari con l’aiuto di un foglio di calcolo come Excel o di un software a hoc, oppure di qualche tool online o di una app – prima il carico glicemico di ciascun alimento o componente, e poi sommarli tutti.
Quindi, mangiando quantità simili di singoli alimenti aventi simili indici glicemici – oppure pasti contenenti più alimenti, ma caratterizzati da un simile carico glicemico totale – si ottiene una risposta simile della glicemia e dell’insulinemia. Inoltre, aumentando gradualmente il livello del carico glicemico del pasto si osserva un aumento proporzionale del livello della glicemia nel sangue.
Si noti che l’iperglicemia post-prandiale è uno dei principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari nei diabetici. Inoltre, nei prediabetici, il livello di glucosio postprandiale – ma non la tolleranza al glucosio a digiuno compromessa – è un fattore di rischio indipendente per la malattia cardiovascolare. Infine, sia nei pazienti diabetici che in quelli prediabetici, l’iperglicemia post-prandiale è fortemente correlata alla progressione dell’aterosclerosi rispetto all’iperglicemia a digiuno.
Andamento post-prandiale della glicemia in soggetti, normali, prediabetici e diabetici.