Per misurare il danno o stress ossidativo del DNA presente nelle cellule con la maggior parte dei metodi attualmente disponibili, è necessario prima isolare il DNA. Il DNA isolato viene quindi idrolizzato e il preparato idrolizzato viene usato per l’analisi delle basi ossidate.
I metodi analitici di solito utilizzati implicano tecniche sofisticate, quali la HPLC o la spettrometria di massa a gas cromatografia. Il DNA è suscettibile di ossidazione chimica, e la sua base più sensibile è la guanina. Pertanto, la base modificata maggiormente indagata è sicuramente la 8-idrossiguanina, e in particolare il suo corrispondente nucleoside ossidato – la 8-idrossi-2’-deossiguanosina (8-OH-dG) – che dunque costituisce l’indicatore più comune per valutare il danno del DNA.
Nonostante siano stati individuati più di 20 prodotti derivati dal danno ossidativo delle basi puriniche e pirimidiniche, solamente alcuni di questi sono stati investigati nel dettaglio. Le ragioni che hanno portato a focalizzare l’attenzione su questo indicatore sono due: la guanina è la base del DNA che presenta il potenziale di ossidazione più basso ed è quindi la più suscettibile agli attacchi degli agenti ossidanti; essa ha evidenziato un documentato potenziale mutageno che si esplica in vari modi.
Durante l’isolamento e la preparazione per l’analisi, il DNA e le sue basi sono esposte a concentrazioni di ossigeno ambientali e agli ioni di metalli di transizione. Tali metalli sono potenti catalizzatori di danni provocati dai radicali liberi e possono essere presenti come contaminanti nei reagenti di laboratorio e nell’apparecchiatura, cosa di cui occorre quindi tenere conto.
I radicali liberi e altre specie reattive vengono costantemente generati nel nostro organismo e causano danni ossidativi alle molecole di DNA contenute nelle nostre cellule. L’infiammazione cronica eleva i livelli di molti prodotti creati dal danno ossidativo del DNA nelle cellule umane. In particolare, il fumo di sigarette, molti altri agenti cancerogeni e una dieta ad alto contenuto di grassi sembrano accelerare la formazione della 8-idrossi-2’-deossiguanosina (8-OH-dG) negli animali.
Mentre le proteine e i lipidi modificati possono essere eliminati tramite un normale processo di rinnovamento cellulare, i danni al DNA devono necessariamente essere riparati dall’organismo, seguendo diversi processi che possono assolvere a questa funzione. La presenza di DNA modificato, infatti, è associato a un gran numero di fenomeni degenerativi e stati patologici, quali le malattie tumorali, ma anche neurodegenerative, cardiovascolari e autoimmuni.
Pertanto il danno, o stress, ossidativo del DNA (si stima che ogni giorno vi siano centinaia di attacchi al DNA di ogni nostra cellula) costituisce, in linea di principio, un “biomarcatore” per identificare le persone a rischio – per motivi dietetici o genetici, o per entrambi – di sviluppare il cancro e per suggerire come le diete di queste persone possano essere modificate per ridurre tale rischio.
L’utilità di misurare, in particolare, la 8-idrossi-2’-deossiguanosina (8-OH-dG) presente nell’urina deriva dal fatto che, oltre ad essere un metodo non-invasivo, non si producono artefatti durante le procedure di estrazione o di derivatizzazione, non avvengono ulteriori processi di metabolizzazione ed è stata osservata un’alta stabilità di questo addotto nella matrice urinaria.
Poiché la 8-OH-dG escreta nell’urina ha origine nel DNA ossidato, si può ragionevolmente ipotizzare che vi sia una relazione diretta tra lo stress ossidativo cellulare e l’escrezione di questa sostanza nell’urina: è per questi motivi che l’8-OH-dG è stata utilizzata come potenziale biomarcatore del danno ossidativo del DNA in moltissimi studi di esposizione ambientale e occupazionale, nonché per indagare la possibile relazione tra il livello di danno ossidativo e la patologia tumorale.
Da questo assai interessante filone di studi, è emerso che elevati livelli di danno possono essere ricondotti a due principali situazioni: una quantità molto bassa di enzimi antiossidanti nel sito tumorale da un lato e una forte riduzione delle capacità riparative del DNA dall’altra.
Rimangono comunque ancora da chiarire molti meccanismi e molti dati sperimentali. Nonostante elevati livelli di danno ossidativo siano stati riscontrati in presenza di una grande quantità di patologie e di esposizioni a sostanze tossiche o radiazioni, dimostrare una precisa correlazione tra l’incidenza di malattie e la presenza di prodotti di ossidazione resta ancora piuttosto complicato.